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Il primitivo titolo, strano, dicono, era Allegria di Naufragi. Strano se tutto non fosse naufragio, se tutto non fosse travolto, soffocato, consumato dal tempo. Esultanza che l'attimo, avvenendo, dà perché fuggitivo, attimo che soltanto amore può strappare al tempo, l'amore più forte che non possa essere la morte. È il punto dal quale scatta quell'esultanza d'un attimo, quell'allegria che, quale fonte, non avrà mai se non il sentimento della presenza della morte da scongiurare. Non si tratta di filosofia, si tratta d'esperienza concreta, compiuta sino dall'infanzia vissuta ad Alessandria e che la guerra 1914-1918 doveva fomentare, inasprire, approfondire, coronare. L'Allegria di Naufragi è la presa di coscienza di sé, è la scoperta che prima adagio avviene, poi culmina d'improvviso in un canto scritto il 16 agosto 1916, in piena guerra, in trincea, e che s'intitola I fiumi. Vi sono enumerate le quattro fonti che in me mescolavano le loro acque, i quattro fiumi il cui moto dettò i canti che allora scrissi. I fiumi è una poesia dell'Allegria lunga; di solito, a quei tempi, ero breve, spesso brevissimo, laconico: alcuni vocaboli deposti nel silenzio come un lampo nella notte, un gruppo fulmineo d'immagini, mi bastavano a evocare il paesaggio sorgente d'improvviso ad incontrarne tanti altri nella memoria. Notte di maggio, Fase d'Oriente, Tramonto, Fase, Silenzio: ecco alcune poesie dove, nell'attesa della guerra, in "Lacerba", era da me sorpreso il famigliare miraggio d'Alessandria. Alessandria all'orizzonte cancellata, Alessandria per sempre persa e per sempre ritrovata per via di poesia. S'ingannerebbe chi prendesse il mio tono nostalgico, frequente in quei miei primi tentativi, come il mio tono fondamentale. Non sono il poeta dell'abbandono alle delizie del sentimento, sono uno abituato a lottare, e devo confessarlo - gli anni vi hanno portato qualche rimedio - sono un violento: sdegno e coraggio di vivere sono stati la traccia della mia vita. Volontà di vivere nonostante tutto, stringendo i pugni, nonostante il tempo, nonostante la morte. Potrei così commentare Agonia, Pellegrinaggio, quelle poesie del primo momento, di "Lacerba", o quelle già del Porto Sepolto, dove mi scopro e mi identifico, dentro gli orrori della guerra, nell'uomo di pena e, come tale, Ungaretti, uomo di pena, mi parrà di dovermi anche in seguito, sempre, identificare.
Giuseppe Ungaretti
© Δημοδάμας ὁ Ἁλικαρνασσεύς (ἢ Μιλήσιος) 2018