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Alle grandi imprese sconfitte si rende onore soltanto se non le si celebra con il riguardo sepolcrale che le condannerebbe per sempre alla giacitura. Ciò che è irrealizzato attenta ancora - giudice silenzioso delle sorti che gli hanno voltato le spalle - all'ordine che invano cercò di scuotere e ricreare. Ma le sue ragioni perdute si impennano e scaldano gli animi a patto che qualcuno le tragga fuori dai recinti degli specialismi o dei clichés storiografici. Per questo la vicenda dell'Italia preunitaria e il lascito che ci ha trasmesso trovano in Giulio Bollati, editore e studioso, uno degli interpreti più congeniali. L'editore sensibile al minimo sintomo di convergenza tra saperi scientifici e umanistici procede al passo con l'italianista, a cui si deve l'anamnesi acutissima ed empatica del progetto di modernità che tra fine Settecento e metà Ottocento, in un vortice di idealità spesso dissonanti, cercò di aggiornare l'antica, esclusiva primazia italiana nelle lettere e nelle arti, aprendola alla società in mutamento. Spogliata degli orpelli risorgimentisti, sottratta all'abuso della retorica posteriore, la coppia di aggettivi morale e civile mostra qui una pregnanza quasi eversiva, che ambisce a cambiare il corso delle cose. Eversore e oltraggioso, agli occhi dei contemporanei, è il Leopardi antologista della "Crestomazia", che da cinque secoli di prosa italiana "stacca" e "straccia" di furia brani inusitati, insidiando la maestà del Trecento a profitto dell'ingegnoso Galileo...