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La complessità del corpo, come risultato delle dinamiche fisiologiche, è tutto il nostro essere. Detta il nostro pensare, sentire, volere, il nostro buonumore e malumore, il nostro agio e disagio, ma anche piacere, dolore, ansia, angoscia, paura, coraggio e le infinite sfaccettature di cui queste condizioni d'essere sono portatrici a seconda dell'arbitrario gioco dei possibili impasti della materia di come siamo fatti. Nietzsche parla del medesimo terreno dell'insorgenza del buonumore e del malumore e individua la causa della diversificazione non in implicazioni di ordine morale ma del felice o dell'infelice "coordinamento delle energie e dei sistemi fisiologici". E dice anche che questo coordinamento non ha scansioni oggettive (l'essere-che-diviene) ma soggettive, come eterna riproposta dell'energia pulsionale che muta intensità in rapporto alle infinite possibili metamorfosi dettate dalle infinite combinazioni biologiche e dalle infinite combinazioni neurali (...). La biologia della mente è al pari della biologia del pancreas, della milza, del fegato, così come lo è la sua fisiologia. Non c'è un organo elitario nell'apparato fisiologico. Tutti gli organi interagiscono all'impianto uomo. La parola è, per esempio, aperta all'universale, ma sul piano della fisiologia, puntualizza Nietzsche, non è altro che il "riflesso in suoni di uno stimolo nervoso". Dalla parola alle parole che fanno le discipline (o saperi) può cambiare l'intensità dello stimolo nervoso ma non la combinazione che ne detta l'insorgenza. Questo comporta che in tutto ciò che facciamo non "c'è un bel nulla d'impersonale" e che il personale dei nostri stati fisiologici non ha una natura specifica ma affiora alla luce assieme al medesimo affiorare dei nostri istinti, dei nostri "interni tiranni". Sono questi che ci governano anche quando producono "conoscenze elevate". Dice Nietzsche: "Io non credo che un "istinto di conoscenza" sia il padre della filosofia, ma che piuttosto un altro istinto, in questo come in altri casi, si sia servito della conoscenza (e della errata conoscenza) soltanto a guisa di uno strumento". E con ciò intende dire "che le nostre conoscenze più elevate risuonano inevitabilmente (...) come follie, in talune circostanze come delitti, allorché vengono indebitamente all'orecchio di coloro che non sono strutturati né predestinati per cose siffatte".