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Il 'confronto' di Heidegger con Platone costituisce una 'critica immanente' dell''impostazione' di "Essere e tempo". Collocata entro questa prospettiva teoretica, la lettura heideggeriana del 'mito della caverna' appare come un rigoroso svolgimento filosofico, motivato dalla 'cosa stessa', ovvero dalla necessità di far chiarezza attorno ai nodi teoretici irrisolti dell'analitica esistenziale: ai problemi, cioè, concernenti il fondamento ontico dell'ontologia, la differenza ontologica, la verità ed il suo rapporto con la non-verità. In questo libro, quindi, non si intende affatto istituire un confronto tra Heidegger e Platone. Il confronto è bensì quello - per la filosofia inevitabile - con la 'cosa del pensiero' alla quale Heidegger giunge per il tramite di Platone. Ne risulta la tesi secondo cui la nozione ritenuta abitualmente l'indiscusso caposaldo del pensiero di Heidegger - la 'differenza ontologica' - ha rappresentato in realtà per lui un costante motivo di inquietudine teoretica. Di tale inquietudine è espressione il tema della 'coappartenenza di verità e non-verità' (alétheia) che comincia ad assumere rilievo, per diventare poi predominante, con la cosiddetta 'svolta'.
Dal libro emerge di conseguenza la proposta di invertire la direzione oggi prevalente negli studi sul filosofo tedesco, di leggere, cioè, non già la filosofia muovendo dalla 'cultura' di Heidegger, bensì la 'cultura' di Heidegger muovendo dalla filosofia. E' la proposta di una 'critica immanente' che - così pare all'autore - rappresenta l'unica possibile fedeltà a quella 'cosa del pensiero' a cui Heidegger stesso ha voluto rimanere fedele.