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La filosofia, fin dall'antichità, ha pensato l'abitudine, servendosi, per definirla, di una gamma ben precisa di termini che hanno subito una serie di trasformazioni semantiche nel passaggio dal greco al latino e poi alle lingue moderne. Malgrado la presenza di una corposa riflessione divenuta sempre più articolata e complessa dalla fine del XVIII secolo, non esiste ancora oggi una ricostruzione organica in grado di restituire insieme lo sviluppo storico e teorico di quella che a pieno titolo può essere definita la «filosofia dell'abitudine». Questo volume intende offrire un contributo in tale direzione, proponendo dei percorsi storico-interpretativi a partire dall'individuazione dei principali nodi concettuali che innervano il pensiero sull'abitudine, grazie al puntuale riferimento al pensiero di autori che vanno da Aristotele alle scienze cognitive. I pensatori presi in esame, che costituiscono un ricco campione di un panorama ancor più vasto, sono rappresentativi di posizioni originali emerse nelle diverse epoche. Il discorso filosofico sull'abitudine, tra il XIX e il XX secolo, diventa sempre più interdisciplinare, aprendosi agli apporti in primis della psicologia, ma anche della sociologia e dell'antropologia, fino a esaurirsi in quanto tale. Dopo secoli di teorizzazione filosofica sul funzionamento e sull'origine delle nostre abitudini, sono oggi la fisiologia e le neuroscienze a spiegare le modalità della loro formazione. Mai come in passato, tuttavia, i saperi scientifici richiedono la collaborazione della filosofia per comprendere appieno il significato da attribuire alla plasticità del nostro cervello, così da affrontare con strumenti epistemologici efficaci le implicazioni morali, politiche e giuridiche poste dalla nostra condotta di «creature dell'abitudine».