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Difficile da incasellare in un preciso indirizzo filosofico e letterario, la parabola intellettuale di E.M. Cioran è strettamente connessa alla sua sofferta vicenda biografica. L’inquietudine e l’insonnia atroce che colpiscono la sua persona fin dalla giovane età, figurano infatti come elementi imprescindibili che orientano la rotta della sua dimensione speculativa in una prospettiva esistenzialista. Nonostante la formazione accademica e la breve esperienza di insegnamento, tali problematiche personali determinano l’insorgenza di un sentimento di sfiducia totale nelle costruzioni sistematiche della speculazione accademica, scardinando di fatto la comune concezione della filosofia come strumento orientativo. Quintessenza di quel manto nero con cui il nichilismo ha coperto l’occidente, Cioran destituisce la filosofia dal suo ruolo di rimedio terapeutico al dolore che sorge dalla raggiunta consapevolezza dell’inconsistenza dell’esserci. Il pensatore rumeno raccoglie così la sfida del nichilismo, facendo della lucidità un perno edificante della sua meditazione sul carattere illusorio e vano dell’esistenza. Quest’ultima si inserisce in una Weltanschauung per cui, citando Albert Caraco , “l'universo è una creazione del caos, la vita un epifenomeno e l'uomo un accidente” . Tale visione cupa e senza sbocchi salvifici, investe la sua riflessione sul tempo e sulla storia permettendo all’autore di svettare come voce originale tra le filosofie dell’assurdo. Per spiegare la sua visione del mondo, Cioran condivide l’idea del peccato originale in chiave metaforica mostrando come il concetto della deviazione umana sia indispensabile per la comprensione dello sviluppo della storia. In questo orizzonte prospettico, sia la storia, sia l’essere umano, si manifestano come il prodotto di una catastrofe. Il peccato originale della tradizione cristiana si traduce dunque in un movimento dinamico che rappresenta il graduale naufragio della civiltà umana nella decadenza. La cacciata dall’Eden biblico rappresenta così l’evento capitale che determina la specificità dell’essere umano: la coscienza, vero e proprio “pugnale nella carne” , che ci distingue dalle altre creature effondendo un “desiderio di conoscere intriso di perversità e di corruzione” . Questo supplizio, protratto nel tempo, preclude ogni vocazione umana all’eternità svelando la sua propensione di essere costantemente inadeguato a restare “all’interno di qualsivoglia realtà” . Il tempo è quindi considerato in una prospettiva esistenziale come una dimensione irrinunciabile e restrittiva e, la storia, una costruzione speculativa che da voce ad un ancestrale “appetito di potenza” . Per Cioran cadere nel tempo significa dunque rinunciare all’eternità e subire un destino, inabissarsi in un processo che vede nella conoscenza del bene e del male l’origine dell’inquietudine umana. È la coscienza, infatti, ad aver trascinato l’uomo nel mondo della possibilità, e poiché ogni scelta da compiere presuppone un prima e un dopo, la consapevolezza che l'estremo termine di quel "dopo" sia la morte, produce la nullificazione di ogni scelta. L’autore subisce così il fascino del concetto di fine e prefigura una caduta ancora più pericolosa e angosciante, dipinta con i tratti di una realtà imminente che investirà l’intera umanità. Dopo essere caduto nel tempo, l'uomo è destinato a precipitare anche dal tempo, in una situazione di estraneità e insensibilità al proprio destino: tale il movimento che acuisce il dramma umano, sfociando nella contemplazione estetica della noia, “nostalgia inappagata del tempo”. Attraverso una mistica della rinuncia, Cioran suggerisce di raggiungere quell’ideale di Atarassia attraverso l’inerzia e l’eclissi della coscienza, auspicando una regressione verso la materia, dove alla volontà di vivere si sostituisce la noluntas. Travolto da un compiacimento letterario nei confronti dell’irreparabile, il pensatore rumeno si avvale di una scrittura tagliente, ironica e sofisticata, imponendos