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Quando André de Korvin, apolide mittleuropeo, giunse a Houston nel 1987, le poesie che scriveva destarono immediatamente l’attenzione di un gruppo di scrittori variamente espatriati. Tutti trovarono nel suo lavoro l’accento inconfondibile dell’esiliato che porta con sé l’orizzonte del suo paesaggio. Esiste una poesia puramente nomade, che non prevede il ritorno, non lo cerca, e trae ispirazione da un passato che non c’è mai stato. De Korvin non è russo, non è tedesco, non è francese e non è americano perché è fra questi mondi, e appartiene tanto ai loro punti di sutura quanto alle smagliature che interrompono la tela. Il suo inglese è il tentativo di parlare quella lingua del pianeta che non sostituirà mai la lingua delle origini, ma che diviene, per esclusione progressiva, l’unica con la quale si può raccontare la provvisoria conclusione della propria storia. De Korvin si è così ritagliato un inglese essenziale in cui non vi è spazio per altre declinazioni e che si riferisce continuamente a un mondo plurilinguistico senza mai farcene sentire il suono.
André de Korvin è nato a Berlino, da genitori russi, nel 1935. Suo padre era il poeta Vladimir Korvin-Piotrowski. Ha vissuto a Parigi e si è trasferito poi negli Stati Uniti. Ha studiato alla Sorbona e a Los Angeles ed è professore di matematica alla University of Houston, in Texas, città dove vive dal 1987. Di formazione trilingue, scrive in inglese. Questo libro è uscito a Houston nel 1990.